Racconto

Racconto

Gami tirò un sospiro. Prese una profonda boccata d'aria, poi una seconda e una terza. Tirò su la testa, aprì lentamente gli occhi e serrò la mascella. Si alzò dalla sedia, e a pieni polmoni dichiarò: – Ho deciso. Ma sappiate che penso che sia una pessima idea –

Nell'ampio salone, il silenzio precedente a quell'affermazione fu sostituito da un chiacchiericcio informe e indefinito. Ciascuno dei presenti si era girato verso il proprio vicino, conosciuto o meno che fosse, per chiedere: – Ha scelto? Cos'ha scelto, lo ha già detto? –

No, non lo aveva detto, e non sembrava neanche intenzionato a dirlo.

Dopo la sua incognita presa di posizione, Gami si era voltato ed aveva abbandonato il salone, senza aggiungere una sola parola.

Nessuno provò a seguirlo, nessuno cercò informazioni più approfondite, ciascuno col proprio cellulare gli fece una foto mentre scompariva dietro alla porta.

Ciascuno trovò la notifica sullo schermo di decine di articoli che speculavano sulla sua pessima decisione.

 

Veloce come ogni notizia, la questione della scelta di Gami arrivò alle orecchie di un operaio, tal Mariani, mentre lavorava in fabbrica. Tra uno schianto di pistone e un rombo di motore, aveva sentito della fantomatica decisione da qualche dirigente.

Uscito dal lavoro, al bar con qualche collega, riferì quanto appreso.

Incredibile, davvero. Con tutti i problemi moderni si pensa a queste cazzate – a parlare era Grenti, uno dei più anziani in fabbrica – Mi chiedete a cosa servono i sindacati, ecco a cosa servono i fottuti sindacati! –

Sì, ma non è questo il punto vecchio – rispose uno degli altri – Una decisione andava presa, e finalmente si è fatto. Ora possiamo pensare al resto, ai sindacati e quant'altro –

Una decisione andava presa – Ripeté il Grenti scimmiottando – ma ti senti quando parli? Abbiamo ascoltato la stessa storia? È una pessima idea, lo ha detto pure lui. Allora perché ci ha perso tutto sto tempo, dico io? Intanto gli operai muoiono di fame, ma questo non interessa a nessuno, no? –

Adesso parli come un comunista. Era una scelta importante che andava presa. Non poteva decidere a cuor leggero, ha fatto bene a prendersi il suo tempo. In ogni caso, adesso si penserà al resto –

Ovvio, certo. Adesso si penserà al resto. È da almeno cinquant'anni che promettono di pensare al resto, da prima del ventennio –

Continuarono a litigare ancora, e ancora. Come spesso accade durante le discussioni in un bar, la forza delle argomentazioni scemava man mano che salivano i conti e i bicchieri vuoti sul bancone. L'unico davvero grato a quel confronto fu il barista, che in una sola serata scongiurò ogni paura di veder fallire la propria attività. Alla chiusura, mentre quelli erano tornati a casa ubriachi per l'alcol, lui era tornato a casa ubriaco per il riso, dopo averli convinti a tornare la sera successiva per un giro gratuito. Tanto avrebbero pagato tutto il resto, no?

Tornò a casa dai genitori, e prima di coricarsi per dormire si prese un quarto d'ora abbondante per ridere degli idioti operai con suo padre. Impiegato com'era, lo scherno dei macchinisti era sempre stato il massimo dell'intrattenimento per lui, tanto che furono in due quella notte ad addormentarsi col singhiozzo per le risate.

Il caso volle però che il padre del barista fosse sì un impiegato, ma in un'emittente radiofonica abbastanza conosciuta. La mattina dopo quindi, entrato in ufficio, aggiunse alla scaletta per il programma della mattina una sola piccola frase: "Finalmente si è presa una decisione".

 

Al fronte, si sa, non c'è molto da fare per i soldati semplici. Dalla recluta al sergente, i militari si intrattenevano scrivendo lettere e poesie o raccontandosi barzellette sconce. 

La guerra durava già da tempo, troppo tempo, molto più di quanto si era previsto. Entrambi gli eserciti erano confinati in profonde fosse al confine, aspettando che il nemico invadesse le trincee alleate.

Qualche volta, qualche ora al giorno, capitava che i tenenti si allontanassero per trarre una quadra della situazione, e in quel momento, solo in quel momento, Fritz tirava fuori una piccola radio. 

Era nascosta sotto un paio di stracci, in modo che nessuno dei superiori potesse trovarla, ma era lì e per qualche ora, solitamente la mattina, teneva compagnia ai soldati. 

La ascoltavano in silenzio, era un piacere sentire una voce diversa dalle solite venti degli ultimi… Quanti saranno stati, due o tre anni? 

"Dalla regia mi comunicano che finalmente si è presa una decisione. Era l'ora diremo noi"

La frequenza vibrò lievemente, e d'un tratto la voce fu sostituita da un fruscio indefinito. Fritz scattò in piedi, cercando di recuperare quell'eterea voce, mentre gli altri si lamentavano.

Fritz! Non hai ancora riparato quel catorcio che chiami radio? –

Zitto Schultz! Vuoi che i tenenti ci scoprano? –

Per un attimo si squadrarono. Schultz era un caporale, e non era certo abituato a farsi zittire da un altro soldato. D'altro canto, a parlargli era Meyer, il sergente a cui doveva fare capo. 

Cosa dovrebbero scoprire? Un aggeggio anomalo che neanche funziona? – Sogghignò, sicuro e troppo orgoglioso per ammettere l'errore.

Di che decisione parlavano? – Chiese il soldato semplice Hoffman a Meyer. 

Non lo so di preciso, ho informazioni incomplete. Credo fosse una scelta che spettava ad una commissione, GAM, GAP, GAN… Una roba simile. So che era una scelta importante. I superiori parlavano di qualcosa sul futuro, sull'umanità, ma non so di che si tratti –

Gli rispose Becker, di tutti quello meglio indottrinato dall'esercito. 

Ah certamente! Il nostro grande impero provvederà all'umanità, a tutta l'umanità! Qualsiasi sia stata questa fantomatica scelta, sarà stata l'opzione migliore, per l'Austria-Ungheria e per il mondo! –

Non so Beck, penso sia più complicata di come la fai tu… –

Tu taci, e ripara la radio – Schultz tirò una pedata sulla schiena a Fritz – Il soldato semplice Becker ha ragione. Se hanno preso una scelta hanno preso la migliore. Siamo austriaci dannazione! Non serve un filosofo per dimostrare che siamo razza superiore a tutte le altre, europee e non –

Ti ricordo, Schultz, che se l'Intesa non ci ha ancora schiacciato è solo merito della Germania. Da soli non saremmo resistiti –

Va bene, forse si salvano i tedeschi, ma guai a te Meyer se mi paragoni a quella feccia traditrice italiana –

Meyer scacciò la possibilità con un cenno della mano.

Dunque, ora che hanno scelto, noi cosa facciamo? –

Semplice, eseguiamo gli ordini. Come sempre. E quando la guerra sarà finita e non seguiremo più gli ordini, vivremo le nostre vite, a prescindere dalle conseguenze –

La voce tornò ad uscire dall'apparecchio. Fritz esultò, prendendosi così un altro calcio sulla schiena dal caporale. Richiamarono tutti al silenzio, e ancora per mezz'oretta stettero ad ascoltare la radio.

Hoffman però, dopo poco, si allontanò pensoso. Tirò fuori un pezzetto di carta e iniziò a scrivere. 

"Mia cara madre, ho appreso dal srg. M. che il GAN ha preso una scelta. Hanno scelto la cosa migliore per l'umanità. Fino a contrordine, continuate a vivere come se nulla fosse”

Arrotolò il biglietto. Gli si spezzava il cuore a non potersi dilungare a chiedere della sorella, costretta a letto dalla febbre, ma purtroppo era costretto alla sintesi della poca carta a disposizione: doveva razionarla per poter scrivere loro tutte le settimane, in modo che sapessero che era vivo.

Legò stretto il messaggio con un pezzo di spago, e si diresse verso il comando, dove risiedeva anche il centro postale. 

Mentre si avviava, sentì Schultz urlare qualcosa di indistinto, nascondendo completamente la radio. Un seguito di voci, urla selvagge e ordini riempì la trincea. Hoffman si girò verso i suoi compagni, mettendo automaticamente mano al fucile. Capì che gli italiani erano entrati nella trincea solo quando uno di loro lo aveva passato da parte a parte con la baionetta, lasciandolo a terra a morire da solo con il suo messaggio in mano, chiedendosi se la sorella fosse o meno guarita.

 

Di ritorno dalla Russia, le truppe napoleoniche camminavano alla massima velocità possibile con la congestione nei muscoli.

Affamati e stanchi, temevano più di ogni altra cosa l'ora del riposo, poiché nelle condizioni in cui versavano ogni sonno rischiava di non avere un risveglio. 

Incedevano lentamente, più morti che vivi, più feriti nell'orgoglio che nel fisico.

Uno di questi camminava col muso chino. Con le tre dita che gli erano rimaste sulla mano destra stringeva la canna del fucile, usando il calcio per cedere un po' del peso che le ginocchia non reggevano più.

Il ghiaccio fece scivolare la fondina, e il soldato cadde faccia a terra nella neve.

Sapeva di doversi rialzare, pena l'assideramento, ma la neve era così morbida, e dopotutto non così fredda…

Debout soldat! – sentì una voce in lontananza. 

Chiuse gli occhi e si alzò. 

Posando la mano nella neve, senti qualcosa di strano al tatto, certamente diverso da neve e terra. 

Riaprì gli occhi: sotto il suo palmo stava un foglietto di carta, sporco di sangue con una scritta in tedesco.

Lo guardò incuriosito, qualcosa di bianco che non fosse la sola neve. Non comprendeva cosa ci fosse scritto, ma due lettere le aveva senz'altro capite. GN: "Le Glorieux Napoléon"! 

Lo conservò e lo portò a casa, giocando a tradurlo per non perdere del tutto la ragione.

Quando rientrarono nei confini dell'impero, chiese ad un tale che diceva di sapere il tedesco di tradurlo per lui, per capire se si fosse quantomeno avvicinato.

Sì, senz'altro GN sta per "Glorieux Napoléon"… Il resto è difficile da leggere col foglio bagnato e macchiato di sangue… Credo che si possa tradurre così: Madre, ho saputo dal signor M. che il Glorioso Napoleone ha deciso. Ha scelto la cosa migliore… Qua suppongo ci fosse scritto per l'impero… Fino a non so cosa vivete come se nulla fosse – 

Lo riconsegnò al soldato mortificato – Désolé monsieur, ho fatto il possibile –

Quanto però aveva sentito era per lui più che sufficiente. Riprese il foglietto tutto tremante.

Una lacrima gli sporcava il viso fiero.

Capisco… La ringrazio comunque –

Monsieur, c'est ne rien! È solo foglietto, nulla di importante, senz'altro… –

Non. Ho capito di cosa parla. È una questione molto più seria di quanto lei non immagini – si asciugò la lacrima, e si alzò con gli occhi tristi.

La ringrazio per il suo servizio. Non sottovaluti quanto ha letto, gliene prego. È cruciale che tutti ne siano informati –

Dopodiché si diresse alle poste. Chiese all'impiegato di mettere per iscritto quanto gli avrebbe dettato. Avrebbe riscritto il bigliettino con le sue mani, ma aveva ormai troppe poche dita per poter avere una buona grafia.

"Si comunica che sua Maestà Imperiale, il Glorioso Napoleone Bonaparte ha preso una decisione, la drammaticamente migliore per l'impero. Che ciascuno continui a condurre ordinariamente la propria vita".

Dopodiché, lo fece spedire a Parigi, affinché fosse stampato e diffuso sui giornali.

 

Sostenere che il sole fosse immobile e che la terra si muovesse in quel tempo era qualcosa di folle. 

Del resto, Nostro Signore aveva creato la terra il terzo giorno, il sole e gli astri il quarto. Come poteva aver creato un mondo che ruotasse attorno al sole senza che questo fosse stato creato? 

Eppure i calcoli in quel manoscritto tornavano tutti.

Lo studioso li aveva rifatti personalmente, decine di volte. Aveva anche provato a farli correggere a qualche amico o collega, per assicurarsi che fossero giusti e lo erano.

Ovviamente, neanche a dirlo, aveva presentato calcoli anonimi. Non era certo un pazzo!

Non voleva di certo finire arrostito su un rogo come l'ultimo che aveva dato credito a quei calcoli, ovviamente no.

Eppure tornavano tutti.

Chiuse il manoscritto, poi lo riaprì e lo sfogliò di nuovo, dal frontespizio alla chiusura.

Era assurdo, ma aveva senso. Certo, non è che ne fosse totalmente sicuro… Però il dubbio lo aveva.

Guardò la dedica sull'ultima pagina. Era scritta in una preziosa grafia gotica, come il resto del libro, ma aveva qualcosa di più privato, confidenziale.

"Questo servo di Dio ringrazia il Nobile Imperatore per la concessione della sua scelta. Ha fatto quanto doveva per Dio e per gli Uomini"

Un libro simile indirizzato all'imperatore? era senz'altro uno scherzo. Anzi, tutti sanno di quella metafora… Sì quella del sole e della luna. 

La Chiesa è il sole, l'impero la luna, che brilla della luce della Chiesa. Voleva forse sminuire l'imperatore? Folle. Forse Dio ti dà la salvezza di là, ma se vuoi salvarti di qua allora l'unica soluzione è farti gli affari tuoi. E certamente non disturbare i potenti, intonacati o meno che fossero. 

Mentre pensava ciò, lo studioso prese il libro e lo chiuse in un cassetto. Lì sarebbe stato meglio che altrove, ma di sicuro era meglio che non girasse più di tanto.

 

Il monaco che quel libro lo aveva scritto era rimasto sconvolto da quanto aveva dovuto scrivere. L'imperatore aveva scelto? Come aveva potuto fare un simile torto al Santo Padre?

Lesse e rilesse. Controllò se avesse sbagliato, era tutto il giorno che scriveva a mano… Non era possibile. L'imperatore aveva davvero scelto.

Cercò una chiave di lettura, un modo per sistemare, per correggere, qualcosa… Nulla, era proprio come sembrava. Aveva scelto.

Corse dall'abate e si gettò ai suoi piedi col libro tra le mani.

Fratello, il libro che mi portaste… Ora le mie mani sono indegne del santo segno della Croce –

L'abate lo raccolse da terra – Suvvia fratello, perché disperate? Non sono parole vostre, e ben lo sa l'Agnello. Non c'è motivo per piangere e soffrire –

L’amanuense raccolse il libro e lo aprì. Lesse ad alta voce. 

L'espressione dell’abate trasfigurò il suo volto da umano a bestiale, finché non prese il libro e iniziò a strapparne le pagine, piegarne le pelli.

Povere le vostre mani fratello. Dio possa perdonarle per il loro peccato –

Io non desidero più queste mani. Tagliatele, tagliatele entrambe! Che possa essere punito per quanto ho scritto –

Non siate troppo severo in condanne che spettano a Dio e non agli uomini. Abbiamo altre questioni che devono essere sbrigate prima –

Rese il tomo al povero monaco – Altre mani non devono essere sporcate da una simile aberrazione. Il papato deve esserne informato, e voi sarete messaggero di una notizia tanto funesta –

L'odio nella sua voce viaggiava rapidamente dal libro al suo autore all'imperatore.

Come può aver osato tanto? –

Dio è santo e potente. L'imperatore brucerà nel più profondo degli inferi, nella bocca dello stesso Lucifero, tra le braccia di Satana. Maledico per Dio lui e la sua intera stirpe! Il Vescovo di Roma penserà alla loro punizione –

Il monaco annuì e ancora in lacrime lasciò il convento, ancora dubitante. Aveva osato scegliere… Quale scelta poteva averlo portato a decidere di volgere le spalle al papato? Quale domanda? Nessuna che gli fosse nota.

 

Quando la notizia giunse a Roma, l'imperatore scoppiò in una fragorosa risata. 

Avanti, scherziamo? – continuò a ridere in faccia all'anonimo messaggero.

Non ricordo di aver preso nessuna scelta di recente. Non tanto importante perché un bambino potesse venirmi a disturbare a corte –

La risata si piegò in un tono quasi inquietante, quasi crudele.

Perdonami Cesare, io ho eseguito solo gli ordini. Ambasciator… –

Ambasciator? Continua e ti faccio tagliare la lingua – il bimbo tacque.

Stammi bene a sentire. Controllo l'intero mondo, dall'Inghilterra a Cartagine e dall'Iberia all'oriente. Nessuno può farmi la morale, tanto meno un marmocchio –

Grande Cesare io…–

Taci! – ringhiò – Io non ho preso nessuna decisione, sarà stato qualcun altro. Qualcun altro che chiami imperatore. Dunque decidi, cosa vuoi perdere, la lingua che ha osato accusarmi o la libertà che ti ha permesso di essere qui? –

No Cesare, ti prego… –

Entrambe? Sei coraggioso bambino, saresti potuto essere un buon soldato – Fece un cenno ad un pretore, che subito annuì ed eseguì la condanna. Con la bocca ancora grondante di sangue, il bimbo fu portato tra gli altri schiavi a suon di disperate urla mute.

Il bardo di corte assistette muto alla scena. Forse, avrebbe potuto salvare il bambino se solo avesse detto che, in tutta coscienza, una scelta abbastanza importante l'imperatore l'aveva presa. Certo, il Grande Cesare non lo aveva reso partecipe della stessa, però una scelta c'era stata. 

Buffo però. L'imperatore si era arrabbiato e aveva condannato quel bambino per un suo errore… Poteva essere una bella barzelletta, o quanto meno una storiella divertente.

 

Dalla bocca dell'aedo si alternavano lamenti e note soffuse.

Le note componevano un canto dolce, mellifluo. Una melodia orecchiabile e senz'altro piacevole.

Certo, le parole che cantava erano meno piacevoli. 

"Nessuno aveva scelto ma tutti ne avrebbero pagato le conseguenze", o qualcosa di simile.

Sì, effettivamente non era un testo molto allegro, ma addirittura l'ostracismo!

Era stato cacciato da casa sua, dalla sua polis. Cos'era un uomo senza la sua polis? Niente.

Eppure lui continuava a cantare, tra un lamento e l'altro, vagando per il Peloponneso. 

Nessuno aveva scelto, tutti ne pagheranno le conseguenze –

Sì, decisamente, i suoni erano più dolci delle parole. Ma l'ostracismo…

Cosa c'era di così grave in quanto cantava? Non riusciva davvero a capirlo.

Il problema di quanto diceva andava oltre quanto lui potesse concepire. Ma la musica era dolce tanto dolce.

Così dolce e delicata che lì per il bosco arrivò alle orecchie di un uccellino.

Un uccellino blu dai colori accessi. Svolazzava in giro da solo, curioso, leggero.

E in uno di questi suoi pellegrinaggi sentì un aedo cantare.

Ma lui le parole mica le capiva, sentiva solo la musica. Gli girò un paio di volte attorno, e quando fu sicuro di ricordarsi per bene tutte le note volò via, fischiettando.

 

Per caso, Dio osservando il suo creato vide un uccellino blu acceso. 

Cantava allegro un motivetto piacevole. Persino le orecchie del Signore dell'universo ne erano deliziate.

Gli porse un dito, e subito l'uccellino corse emozionato all'idea di stare al cospetto del grande Padre.

Figlio mio, ti prego, canta per me –

L'uccellino allargò le ali e chinò il capo. Poi iniziò a fischiettare la melodia dell'aedo.

Dio sollevò un dito, e lo passo lentamente sulla testa e sul dorso dell'uccellino, che subito arruffo le piume lusingato.

Ora capisco. Grazie figlio mio –

Allargò la mano e l'uccellino prese il volo.

Gami ha ragione. È una pessima idea – Raccolse del fango, raccolse dell'acqua.

D'altro canto, così si è deciso –

Impastò la terra e ne modello un corpo.

Decise di chiamarlo Adamo.

Simone Rinallo