Siamo tutti esseri viventi
Quando mi svegliai quella mattina sapevo che sarebbe stato un giorno come un altro, lo speravo. Vidi con dispiacere che il ciuffo che ormai avevo da anni si era disfatto, dovevo solo aspettare che ricrescesse. Inconsapevole di ciò che mi stava realmente succedendo intorno, iniziai a scuotere i miei arti, riscaldando il mio corpo paralizzato dal freddo ma non notai che tra di noi si aggirava un terribile assassino armato di un'ascia arrugginita e con un gran vuoto nel cuore.
Mentre intraprendevo una discussione con il mio vicino, sentii alle mie spalle un boato. Un soffio di vento mi colpì, mi fece voltare e con grande orrore vidi steso a terra il mio amico con il quale ero cresciuto, con cui avevo scoperto il mondo e iniziato a mettere radici nella nostra zona. Era crollato in preda al dolore e sul suo cadavere era chino l'assassino. Lui sembrava indifferente, con la mente altrove, nonostante avesse appena ucciso un essere vivente. Come se non bastasse, alzò in aria l'ascia e iniziò a massacrare quel guscio senza vita. L'assassino prese i brandelli del mio amico e li lanciò uno ad uno sul suo mezzo di trasporto per poi partire e sparire nel nulla.
Come poteva essere successa una cosa del genere? Era una cosa terribile! Non sapevo cosa fare, ma quando mi voltai verso il mio vicino scoprii con terrore che anche lui aveva subito la stessa sorte. Un altro assassino, vestito allo stesso modo del precedente, stava portando i resti del mio simile al suo mezzo ma, vedendo che ciò che aveva abbattuto non bastava a riempire il suo macabro carico, si diresse verso di me.
Stetti zitto. Sapevo che se avessi parlato avrei potuto soltanto peggiorare la situazione. Tentai di stare immobile, nonostante il vento mi scorresse tra le fronde scuotendomi. L'assassino pose la lama della sua ascia sul mio fianco, prese bene la mira e con un colpo secco penetrò la mia corteccia. Sentii un dolore immenso. Gli uccellini che si erano appoggiati ai miei rami volarono via, intimoriti dal tremore provocato dal colpo subito. L'uomo continuò a colpirmi fino a che il mio tronco non cadde a terra con un tonfo e un piccolo rimbalzo. Sentii lentamente la linfa andarsene dal legno del mio corpo e l'assassino, con un espressione vuota, mi colpì fino a farmi perdere conoscenza.
Quella mattina mi svegliai, sentii i canarini che cantavano felici tutto attorno a me. Era un risveglio emozionante, ogni volta. Non potevo girarmi per controllare ma, dai suoni che emetteva, pensai che anche il mio amico si era svegliato. Iniziai a guardare davanti a me se altri si fossero destati, ma vidi che molti erano ancora avvolti dalla candida coperta che li aveva scaldati per mesi.
Tutto intorno sembrava tranquillo, tranne il solito viavai di persone che passavano qui vicino.
Si ripete sempre la stessa routine. Ogni giorno, ogni mese, ogni anno. Dall'inverno all'autunno per poi ricominciare.
Sentii un languorino e, concentrandomi, riuscii a recuperare le sostanze nutritive del terreno attraverso le radici. Mandai l'alimentazione in ogni foglia delle mie fronde così da essere in grado di continuare a catturare la luce solare e altri gas deliziosi.
Pensai questo mentre il mio corpo squartato veniva sbalzato da una parta all'altra del rimorchio del mio assassino. Come potevo essere vivo? Non potevo muovermi, non sentivo più le mie radici e nemmeno le mie adorate foglie! Ero solo, ad un passo dalla morte, ripensando ai bei tempi passati in quel bosco dove nacqui decine di anni fa quando sentii con gran stupore qualcosa chiamarmi alle spalle. Sembrava come una forza invisibile, qualcosa che ci connetteva. Mi concentrai su quell'energia che mi circondava e la percorsi fino a raggiungere una parte di me. Le parti del mio corpo avevano ancora un'anima, la mia anima tra le loro fibre.
La mia psiche era stata frantumata come il mio fusto e solo ora potevo sentire tutti i pensieri, le angosce, tutte le paure che albergavano in me e in tutti i pezzi che un tempo componevano il mio fusto. Tra il frastuono dei pensieri del mio animo che mulinavano attorno a me, sentii anche qualcosa di diverso. Non ero io, nessuna delle mie parti. Era il mio amico, ucciso prima di me e portato su questo carro della morte nel mio stesso stato: squarciato in mille pezzi.
Non potevo sentire i suoi pensieri, non potevamo più comunicare tra di noi con il fruscio delle foglie o i cigolii del nostro legno. Potevo solo osservare come anche lui venisse spinto in ogni direzione a causa della strada dissestata che percorrevamo. Volevo avvicinarmi a lui, provare a comunicare, capire cosa stesse succedendo, ma il mio corpo era caduto in un sonno eterno. Non sentivo più la linfa scorrere in me, non sentivo gli artigli degli scoiattoli sulla corteccia, sentivo solo i miei pensieri tormentati. Eravamo lontani da casa, diretti a un mattatoio da cui probabilmente non saremmo usciti.
Il tempo scorreva veloce nella mia testa, forse più di quanto dovesse. Sentivo di essere in viaggio da giorni ormai e il mio legno stava iniziando a seccarsi quando finalmente sentii il carro che mi trasportava fermarsi. Forse eravamo arrivati, il mio unico pensiero era rivolto a tutti coloro che, ignari di questa brutale esecuzione, continuano a vivere nel loro pezzo di terra godendosi la gioia che io non conoscerò mai più. Spero, un giorno, di poterli rivedere, di ammonirli sui pericoli in cui possono incappare a causa degli uomini. I loro strumenti avanzati possono recidere in poco tempo il tronco di tutti noi, tagliare di netto il nostro collegamento con il luogo dove siamo nati, dove dal nostro seme è spuntata la prima foglia, il primo fusto. Dove decine di animali si riparavano scappando dai predatori o dal rigido inverno che annualmente colpiva il mio bosco. Tutto questo è ciò che gli altri alberi hanno da perdere, ciò che io ormai non ho più.
Improvvisamente la tenda che oscurava il vano dove ero stato deposto si sollevò e un gruppo di uomini rovesciò me e tutti i pezzi di legno che mi circondavano in una grande tanica colma di un liquido scuro. Solo una volta entrato capii che era acqua, l'amata acqua che mi nutriva ogni giorno. Con il tempo però sentii che non era solo acqua, lì tutti i pezzi di legno vengono idratati in attesa del taglio e il liquido che mi circondava era un misto di terra, impurità, piccole spore di funghi e tutto ciò che ricopre il tronco, la nostra pelle. Era come una vasca di sangue, una vasca piena dei resti di chi venne prima di me.
Inorridito da ciò in cui ero immerso mi sentii però rinvigorito dal contatto con l'acqua e il mio corpo iniziò e sentirsi poco alla volta sempre più vivo. Forse l'ultimo pasto prima del macello.
Venni trascinato fino a un nastro trasportatore, dove iniziai a muovermi su una linea retta. Poco più avanti sentii inquietanti rumori che mi spaventavano ma ormai il mio corpo non rispondeva più agli stimoli, ogni mio pensiero rimaneva nella mia psiche. Il rumore si faceva sempre più vicino, il terrore cresceva.
In pochi secondi passai attraverso una serie di rulli e lame che mi strapparono di dosso la corteccia, ammorbidita dall'acqua. Un brivido si diffuse su tutto il mio corpo martoriato e nudo.
Il nastro trasportatore non si fermò, accelerò anzi il suo moto. Cosa volevano farne di me? Non ne avevano abbastanza?
Dopo interminabili minuti passati a calmare le mie preoccupazioni, consapevole di essere impotente dinnanzi a ciò che mi stava succedendo, il nastro rallentò e sentii un nuovo angosciante sibilo. Dalla cima del mio tronco sentii un dolore indescrivibile che lentamente iniziò a scendere: una sega elettrica stava affettando il mio fusto in tante sottili lastre di legno. Ancora una volta il mio pensiero venne diviso tra le diverse parti generate e captai la sofferenza, la mia stessa sofferenza nelle lastre tagliate poc'anzi dal mio corpo già sofferente.
Continuai il mio viaggio, ribaltato e spinto in ogni direzione, oltre che schiacciato dai cadaveri mutilati di altri alberi che ormai sembravano aver perso la loro psiche, non ricevevo nulla: niente dolore, niente speranza.
Frastornato da mille rumori che mi vorticavano nella testa sentivo anche io di perdere il senno. Addormentarsi e non pensare a tutto quello che mi accadeva sarebbe stato facile, più facile. Ma non potevo, dovevo capire cosa c'era dopo, perché ci stava accadendo questo.
Nonostante la mia mente fosse attiva, il mio corpo stava perdendo sensibilità. Forse era meglio così. Passai in uno stretto corridoio, le cui pareti si avvicinavano sempre più e i bordi dell'asse di legno che mi componeva iniziavano a consumarsi. Gli angoli venivano smussati e prendevo una forma cilindrica, simile a quella che avevo quando ancora ero fisso nel terreno del mio bel bosco. Forse, tutta questa sofferenza era necessaria. Ero cresciuto molto in questi anni, forse troppo. Magari queste persone mi stavano ridimensionando per ripiantarmi e darmi più spazio di crescita! Non ci volevo credere, stavo tornando al mio bosco, tra i miei amici e i dolci animali che ogni giorno mi rallegravano. Dimenticai tutta la paura, la sofferenza che avevo provato fino a quel momento, persino la sagomatura che stavo subendo non era più nulla in confronto alla felicità che provavo nel sapere di tornare a casa.
Il nastro trasportatore mi trascinò verso la sua fine, dove una larga cesta accoglieva tutti gli alberi che erano stati riportati a una dimensione tale da poter continuare a vivere. Ero talmente colmo di gioia che avrei voluto urlare a tutti la bella notizia, ma sentii che non ce ne era bisogno: le menti di tutti si risvegliarono, consapevoli di tornare indietro al loro bosco natale. Per la prima volta, da tempo, potevo risentire le voci dei miei amici suonare dolcemente nell'aria. Eravamo tutti pronti per essere ripiantati e grati per ciò che le persone che ci avevano preso avevano fatto. Abbiamo passato attimi di dolore, questo non lo nego, ma se quello era necessario per vivere ancora più a lungo nella florida natura, beh, lo rifarei mille altre volte. Venimmo tutti portati in un locale buio, dove rimanemmo per un tempo interminabile. Sentivo che i liquidi che avevo acquistato arrivando qui venivano drenati dal mio corpo e da quello degli altri alberi vicino a me. Tutta l'acqua che avevamo accumulato fluiva ai nostri piedi e veniva portata via lasciandoci come dei pezzi secchi di legno. Perché? Perché disidratarci prima di portarci a casa? Certo, non tutto quello che mi è successo aveva un senso per me, ma ora che so dove andremo non posso che pensare che le persone che lo fanno hanno uno scopo, un motivo per cui ci tagliano. A cosa servirebbe loro il cadavere mutilato di un albero? A cosa serve il legno se non come casa per i picchi e tanti piccoli insetti che fanno il solletico con le loro molteplici zampe alla corteccia? No, anche questo servirà, lo so.
Passati molti giorni, forse settimane, il mio fusto era ormai carente di nutrimento. La gioia era tanta ma mi sentivo come cedere sotto il peso dell'immensa sete che mi attanagliava. Un lampo di luce entrò nella camera buia: qualcuno era entrato per portarci via! Mise me e altri miei amici su un grosso carrello e ci condusse fuori, all'aria aperta. Non so quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che avevo visto il cielo, ma sapevo che era uno spettacolo a cui non avrei mai voluto sottrarmi. Ero stato scelto per essere tra i primi a tornare nella natura, ero immensamente grato a tutti coloro che stavano lavorando per ripiantarmi. Non mi ero mai reso conto di quanto la natura fosse importante per me, per il mio benessere fisico e psicologico.
Giurai che qualsiasi cosa mi fosse successa, non avrei mai e poi mai chiuso la mia mente verso ciò che mi circondava.
La natura era sbalorditiva, non mi sarei mai più perso ciò che aveva in serbo per me.
Stranamente, il carrello che mi trasportava deviò verso un secondo edificio, dove venni posto su un largo tavolo da lavoro. Udii un forte rumore metallico vicino a me, forse volevano rafforzare il mio fusto. Una persona mi si avvicinò, rimasi zitto e provai a non pensare a nulla, consapevole del fatto che un qualsiasi passo falso avrebbe potuto fargli decidere di non farmi tornare a casa, nel mio adorabile bosco. Egli mi esaminò attentamente e prese un tozzo oggetto lucente. Egli appoggiò quel pezzo di metallo sulla cima del mio corpo. Capii quindi che mi stavano mettendo una sorta di casco, una protezione e un monito per altre persone. Un modo di indicare che ero stato piantato lì da poco e non avevo bisogno del trattamento.
Mentre ero assorto tra i miei pensieri sentii un brivido corrermi lungo le nervature. Un oggetto dentellato mi aveva appena inciso in prossimità del casco. Doveva forse fissarlo? L'uomo prese una sottile lamina color marrone chiaro e la infilò nella fessura appena creata. A contatto con il mio legno, quella lamina mi parlò. Era stata anche lei un albero, un tempo. Era legno! Ci scambiammo un amichevole saluto ma niente di più, neanche lei sapeva cosa stesse succedendo. L'uomo, noncurante dei nostri discorsi, prese in mano un grosso attrezzo all'apparenza pesante. Sollevai lo sguardo per capire cosa volesse fare e, con un colpo secco, conficcò la lamina di legno nel mio fusto. L'uomo continuò a battere con il suo attrezzo sulla lamina, spingendola sempre più in profondità arrivando fino quasi a spezzarmi. Questo tipo di dolore non l'avevo ancora provato, era più acuto del solito e durava per molto, molto più tempo.
Poco dopo persi i sensi e quando mi risvegliai, dolorante nel fisico e nella psiche, capii di trovarmi di nuovo su un camion. Forse lo stesso che mi aveva portato al trattamento speciale. Questa volta però ero al fianco di una persona, poggiato vicino a lui. Stavamo finalmente tornando al bosco!
Continuai a sobbalzare a causa della strada dissestata che percorrevamo, pensando a chi avrei rivisto e a quali nutrimenti avrei trovato nel terreno dopo tutto questo tempo.
Improvvisamente il veicolo si fermò e l'uomo accanto a me scese dal mezzo prendendomi tra le mani. Mi voleva ripiantare, ma dove? Camminò per diversi metri in mezzo al posto che tempo fa chiamavo casa ma che ormai non riconoscevo più. Di tutta la natura fiorente che vedevo a ogni risveglio potevo riconoscere solo il cielo, quello splendido cielo terso che mi sovrastava ogni giorno dell'anno. Il terreno si era ingrigito e ormai nessun albero dimorava lì intorno. Camminammo ancora per molto prima di vedere l'ultimo albero rimasto. Finalmente, qualcuno con cui avrei parlato per sempre, qualcuno con cui condividere le gioie e, perché no, anche le sofferenze.
L'uomo che mi sorreggeva strinse sempre di più la presa. Mi chiesi dove mi avrebbe piantato, sperando in un luogo vicino all'albero rimasto per avere qualcuno con cui parlare. L'uomo mi prese con due mani e mi scaraventò contro la corteccia dell'albero. Cosa stava facendo? Come poteva farlo? Il mio casco, con la punta acuminata, si stava conficcando nel tronco dell'albero e lo stava lentamente tagliando. Non potevo crederci...non era possibile! Tutta questa sofferenza, le speranza di tornare a casa...tutto andato in fumo. Ero diventato uno strumento di morte, lo stesso che mi aveva portato via da casa.
Ironia della sorte...usare un albero per uccidere un albero. Avevo sopportato tutto quello che mi era successo solo in vista di un futuro più radioso, un ritorno. Ma non così, non sarei mai dovuto tornare a casa solo per dispensare altra morte e dolore.
Cosa mi era successo? Io, unico tra tutti i miei amici a rimanere vigile, consapevole di ciò che stava succedendo, ero diventato l'oggetto che avrebbe portato altri della mia specie alla rovina.
Mi abbandonai alla “vita” che ormai mi era stata assegnata.
Non avrei mai e poi mai riaperto la mia mente a ciò che mi circondava.
Lorenzo Armenio